martedì 27 giugno 2017

The Soundbyte - Solitary IV: elevarsi per comprendere

(Recensione di Solitary IV dei The Soundbyte)


Nella musica, ma anche in tante altre discipline artistiche, possiamo trovare spesso dei casi di gruppi o artisti vittime di una sottovalutazione figlia di tante variabili. In quel senso la carriera dei norvegesi The Third and the Mortal, dal mio punto di vista, non ha mai avuto il valore che veramente merita. Padroni di una carriera interessantissima in costante evoluzione, sono stati capaci di aprire strade che poi sarebbero state approfondite da tante altre band. Una costante che, però, è sempre stata presente è quella della sperimentazione. Per quello ogni loro disco ci ha regalato delle aperture musicali esemplari e brillanti. La fine del gruppo è stato un durissimo colpo ma le creature che ne sono venute fuori hanno mitigato questa tristezza. Mi auguro che il tempo ridia, o dia, la luce meritata da questa imprescindibile band.

Solitary IV


Senza aspettare oltre dico già che il disco del quale vi parlo quest'oggi è uno dei migliori dischi di questo 2017 ed è riuscito a innamorarmi come pochi album ci riescono. Sarà perché in The Soundbyte si celano due nomi eccellenti come Trond Engum, mente principale dietro a questo progetto, e Rune Hoemsnes, uno dei batteristi più brillanti e chiaroveggenti che ci sia. Entrambi i musicisti si conoscono da molti anni grazie alla loro militanza nei The Third and the Mortal. Ma questo non è sufficiente per provocare una reazione così positiva in me. Anzi, Solitary IV è il quarto album di questo progetto nato dalle ceneri di quello precedente e avevo ben apprezzato i tre lavori precedenti ma non ero arrivato a provare lo stesso entusiasmo che mi hanno dato i dischi della loro prima band. Invece questo nuovo lavoro, che ascolto sistematicamente da un mese circa, è un salto nel tempo, è l'anello mancante tra la tappa che più ho amato dei The Third and the Mortal, quella dei dischi Painting on Glass e In This Room, e il loro lavoro successivo Memoirs. La differenza essenziale sta nel modo nel quale la band porta avanti la propria sperimentazione, in modo molto più asciutto ed intimo con rispetto alla band madre. 

Solitary IV


Un'altra caratteristica che porta a erigere questo ponte tra i due gruppi è il fatto che a livello di suono molte cose ci riportano indietro nel tempo. Sarebbe facile pensare che i The Soundbyte siano rimasti indietro ma quello che succede è praticamente l'opposto, i The Third and the Mortal dimostrano ancora una volta di essere stata una band avanti nel tempo. Le chitarre hanno una sonorità variopinta che tocca le vette più alte quando si avventura in mondi eterei, la batteria è illuminante e spaziale e l'aggiunta della parte elettronica da grandezza, mistero e tridimensionalità a questo Solitary IV. A tutto questo va aggiunto il lavoro vocale di Tone Åse e di Kristi Huke dove la voce diventa uno strumento che arricchisce tutto il quadro. Per quello questo disco è impressionante, è un viaggio tra terre inesplorate, è l'essenza stessa della natura, è la bellezza originaria. Per quello tutta definizione di quello che c'è in questo disco rimane abbastanza stretta. Possiamo dire però che siamo di fronte ad un disco di experimental metal misto al dark folk.

Solitary IV


Solitary IV è uno di quei dischi che è sopra ad ogni cosa. Non è un disco del 2017 ma non è neanche un disco degli anni 90 e non sarà neanche un disco del 2030. La sua musica è eterea e, di conseguenza, eterna. E' un disco spirituale perché la sua propria natura è molto più profonda di quello che si vede e basta. E' uno scavare instancabile alla ricerca di una verità nascosta. Non è fantascientifico, non è campato in aria ma non ha neanche la pretesa di essere messenico. Per quello è bellissimo, perché è vero, perché fa parte della nostra natura anche se ancora non tutto è stato svelato per capirlo fino in fondo. Questo disco è, senza alcuna ombra di dubbio, il lavoro migliore che i The Soundbyte sono riusciti a sfornare fino ad oggi ed è in perfetta linea con i più alti lavori dei The Third and the Mortal. Bellissimo e profondo.

The Soundbyte

Mi è difficilissimo consigliarvi poche canzoni di questo disco perché tutte hanno una loro personalità impressionante e bellissima, per quello, più che mai, vi impongo di ascoltarlo per intero. Ma c'è un brano che è orgasmico, che riassume alla perfezione tutto questo lavoro. E'la canzone che chiude il disco, la meravigliosa Solitary. Siamo di fronte ad un brano che deve, per forza, essere presente nella maggioranza delle classifiche sui migliori brani del 2017. E' una delle canzoni più maestose di questo lavoro, sorretta da un riff di chitarra che funziona alla perfezione. Abbastanza grintoso quanto oscuro, misterioso, spettacolare. L'arrangiamento elettronico amplifica tutto quanto lasciando spazio ad una voce celestiale. La prima volta che l'ho ascoltato mi è venuta la pelle d'oca, ed ogni volta che lo sento ho bisogno di ripeterlo una ed un'altra volta. Magistrale.


Solitary IV merita l'attenzione di una platea ampia di critici, stampa e, soprattutto, di ascoltatori. La merita perché è un gioiello senza tempo, un disco che riprende lo spirito geniale, unico ed inuguagliabile dei The Third and the Mortal. The Soundbyte ci ha regalato uno dei migliori, se non proprio il migliore, dischi del 2017.

Voto 9,5/10
The Soundbyte - Solitary IV
Temple of Torturous
Uscita 30.06.2017

Sito Ufficiale The Soundbyte
Pagina Facebook The Soundbyte

lunedì 26 giugno 2017

Lodo - Lodo: non si fugge dal fango

(Recensione di Lodo dei Lodo)


Molto spesso qualsiasi cosa può avere diverse letture. Può essere positivo, illuminante, fondamentale, ma può anche essere distruttivo, corrotto. Per esempio l'acqua. L'acqua è vita. E' quello che necessitiamo, è preziosa, è fondamentale. Ma l'acqua è anche distruzione, devastazione, erosione. Prendi la terra e l'acqua, se metti la misura giusta farai crescere la vita, ma se esageri crei il fango dove nulla cresce e dal quale è difficile uscire.

La scelta del nome degli spagnoli Lodo è tutt'altro che casuale. Lodo vuol dire fango e loro cercano di ritrovare in quest'elemento le tracce di quello che fanno. Si rivedono nella sostanza del fango, si rivedono nel colore oscuro del fango. Si rivedono nella caratteristica avvolgente del fango. Oggi mi ritrovo a recensire il loro omonimo LP di debutto, un disco che è perfettamente in linea con tanti lavori del mondo nel quale loro si rispecchiano. Mondo che per loro è definito come sludge doom strumentale ma che io avvicinerei sensibilmente al post rock/post metal. Infatti l'accostamento più immediato che mi viene da fare è quello con i Russian Circles dove intensità strumentale e capacità descrittiva della musica s'intrecciano. Brani di lunghi sviluppi strumentali dove le chitarre sorreggono la costruzione sonora desiderata. 

Third I Rex

Ma parliamo di più su questo voler avvicinarsi al concetto del fango. I Lodo effettivamente sono intensi e la loro musica diventa avvolgente come il fango. La loro dichiarata oscurata è invece un po' più relativa dal mio punto di vista. Ma chiarisco meglio questo punto. Sebbene la loro musica non è assolutamente solare e luminosa non trovo che ci sia una marcata caratteristica di oscurità dentro alle proprie creazioni. I riff di chitarra, che sembrano essere il punto di partenza compositivo della band, sono dei riff consistenti ma non hanno quella deriva oscura così come la intendo io. Con questo non voglio assolutamente sminuire il lavoro svolto dalla band, che mi sembra lodevole e molto ben costruito, soprattutto grazie all'incastro con una batteria strepitosa che cerca di dinamizzare tutto quanto dando grande varietà a tutte le linee e funzionando come collante tra tutte le parti. Dal mio punto di vista c'è da dire soltanto che non è l'oscurità quello che più mi rimane impresso di questo lavoro, ma ben sì la sua intensità.

Lodo sembra essere una dichiarazione d'intenti. Un modo di far capire molto di più di quello che viene fuori da una lettura superficiale. Lodo è stranamente un disco molto locale perché, per chi avrà la capacità di ascoltare più profondamente, ci svela la vita vista dagli occhi di questi quattro musicisti spagnoli. C'è la loro realtà in queste tracce, c'è il loro modo di vivere, di raccontare la loro terra e il periodo storico che sta vivendo. La cosa interessante è che per fare tutto ciò non sono necessari elementi folkloristici o autoctoni ma basta la loro musica, così universale quanto personale nello stesso tempo.

Third I Rex

Per spiegarvi cosa intendo dire pesco due brani.
Il primo è La Muela de la Cruz. Questo titolo rappresenta un gioco di parole su un posto d'interesse religioso della loro zona, cioè la Cruz de la Muela, un'immensa croce fatta in ferro, che si trova su una colina che permette di avere una vista bellissima sulle zone vicine. Sicuramente questo posto avrà un significato particolare per i ragazzi del gruppo e giocare col nome del posto è una dimostrazione di come sia interessante cercare di cambiare la propria realtà quotidiana. Tutto senza usare una sola parola.
Il secondo è Tabano. Per chi non lo sapesse il tabano in spagnolo è il tafano, cioè una specie di moscone che punge. Un insetto assolutamente fastidioso e che, presumo, sia presente nella zona dei ragazzi della band. La canzone è apatica come questo insetto, cercando di infastidire in un certo modo l'ascoltatore, senza però farlo forzatamente.


Insomma, tirando le somme questo lavoro è un disco interessante, con momenti che ci parlano di una realtà che può essere molto diversa della nostra, o forse no. Lodo è l'inizio di un sentiero che può portare a destinazioni impensabili che regalino al metal strumentale dei nuovi orizzonti. Un buon inizio.

Voto 8/10
Lodo - Lodo
Third I Rex
Uscita 25.06.2017

venerdì 23 giugno 2017

Bison - You Are Not the Ocean You Are the Patient: la verità davanti a te

(Recensione di You Are Not the Ocean You Are the Patient degli Bison)


La verità è che l'umanità è bella incasinata. La verità è che viviamo tra illusioni e realtà. Ci fanno credere di essere fondamentali, di poter governare le nostre proprie vite ma molto spesso ci ritroviamo ad essere schiavi di un sistema maggiore. Siamo solo merce, siamo solo dei potenziali clienti che devono assolutamente comperare quanto più possibile. La ribellione è un'illusione, è un'utopia che ci fanno credere per tenerci buoni. Non siamo degli oceani, anche se ci piacerebbe tanto, siamo dei pazienti che si sono ammalati inconsapevolmente di una malattia che non conosciamo proprio.

C'è un certo genere di musica che riesce a funzionare come un pugno in faccia. E quella capacità non dipende dalla "violenza" o dall'impatto del proprio messaggio. C'è qualcos'altro che regala questa caratteristica a quello che si ascolta. Lo sludge metal ce l'ha. Forse è una cosa di estetica, forse è il modo martellante di avanzare di ogni traccia, noncurante di tutto quello che può succedere intorno. Per quello il disco che oggi recensisco, che ha il lunghissimo titolo di You Are Not the Ocean You Are the Patient, suona come un forte e chiaro esempio di quello che è buttare in faccia un sacco di realtà che possono arrivare a far male. Dietro a questo lavoro ci sono i Bison, esperimentata band canadese fresca di cambio di casa discografica, passando alla Pelagic Records dopo una lunga residenza nella Metal Blade Records
Il titolo di questo disco è molto eloquente e ci mette dentro alla dimensione di quello che la band cerca di comunicare. Come detto prima siamo di fronte ad un lavoro senza mezze misure, senza poesia sommersa, senza intenzione di essere "piacevole" ma di essere quanto più chiara, trasparente e diretta possibile. 

You Are Not the Ocean You Are the Patient

In You Are Not te Ocean You Are The Patient ci ritroviamo con un disco marcatamente sludge. Un muro sonoro compatto che lascia spiragli di luce dai quali si filtra un breve spazio per misurati assoli di chitarra. I Bison sanno che la carta vincente è quella della concretezza e per quello non si perdono in grandi aperture. Vanno direttamente al punto, senza mai abbassare la loro dinamica in modo significativo. Non hanno altre intenzioni di quelle di aprire gli occhi ad una dicotomia molto interessante, che in realtà gira intorno ad un solo concetto: la verità. Verità che da una parte significa capire la propria dimensione tenendo chiaro che è impossibile cercare di diventare quello che non si sarà mai. Ma anche la verità che non ci è acconsentito vivere. In un modo o nell'altro siamo oppressi a tal punto da dimenticare quello che veramente significa vivere. Siamo tutti subdoli schiavi da qualche dipendenza, dove, aggiungo io, entra molto significativamente in gioco la dipendenza dell'apparire, di dimostrare che siamo tutti "cool". 

Nella crudezza sta la bellezza. Non è una frase fatta o facile ma la realtà di questo You Are Not the Ocean You Are the Patient. E' così consistente quello che ci arriva che non ci soffermiamo a vedere quello che c'è veramente sotto. E i Bison sono pronti a sorprenderci con arrangiamenti che sono tutto tranne che scontati. E' questo il loro gioco, essere una metafora sonora della vita. O pensiamo di essere troppo speciali e siamo troppo anonimi per sentire di poter essere validi, ma la realtà sta in mezzo, sta nelle sfumature che di giorno in giorno rendono speciale la vita, in mezzo a tutte le altre cose che ci vengono imposte e dalle quali faremmo volentieri a meno.

Bison

Parlavo dei sorprendenti arrangiamenti di questo disco, e mi preme spiegarmi meglio. La parte sorprendente sta nel fatto che sono inattesi per un genere come questo.
Per quello quando in un brano come Tantrum si sentono strumenti classici come corde, presumibilmente un violoncello, ed un flauto traverso si capisce dove sta la bellezza. Nessuno di questi strumenti diventa protagonista e lo sludge non perde proprio le proprie caratteristiche ma viene fuori un brano bellissimo.
Per quello The Water Becomes Fire lascia di nuovo spazio ad aperture musicali che ricordano in parte quello che fanno gruppi come i Neurosis. C'è una certa epicità in quello che viene suonato, nel modo nel quale il brano scivola da un introduzione molto intima ad uno sviluppo molto estroso, per poi ricadere ossessivamente in quella ipnotica atmosfera.



Lo riconosco, You Are Not the Ocean You Are the Patient è un disco che necessita di parecchi ascolti perché ogni volta cresce. E' un disco molto intelligente perché non perde mai le proprie caratteristica che lo rendono contundente, ma andando oltre di può capire che c'è tanto altro, che, come ho detto prima, siamo di fronte ad una metafora musicale di quello che è la vita, di quello che possiamo essere, e non siamo, e di quello che non potremmo mai essere, ma che diventa una ricerca ossessiva. Lavoro azzeccatissimo dei Bison.

Voto 8,5/10
Bison - You Are Not the Ocean You Are the Patient
Pelagic Records
Uscita 23.06.2017



mercoledì 21 giugno 2017

The Interbeing - Among the Amorphous: passeggiare tra mostri

(Recensione di Among the Amorphous dei The Interbeing)


Ci sono artisti che sono riusciti a regalare spunti che sono diventati parte del patrimonio culturale del mondo. Questi artisti hanno sviluppato un linguaggio che ha permesso di oltrepassare il loro ambito artistico andando a conquistare molti più spazi. Questo accade in diverse discipline artistiche dove abbiamo degli esempi che sono diventati iconici. Uno di questi è David Lynch. Il regista cinematografico e televisivo è molto di più di questa brevissima presentazione. Questo perché attraverso le sue opere audiovisive è riuscito ad esprimere un suo linguaggio ineguagliabile, fatto di una realtà trasformata che lascia spazio a mondi misteriosi, quasi incomprensibili. La sua interpretazione così personale del cinema l'hanno fatto diventare un'icona e le sue opere hanno lasciato una traccia molto forte nella cultura degli ultimi 30 anni.

Among the Amorphous

Parlare di Lynch in introduzione a questa nuova recensione non è un caso ma è un'informazione che aiuta a capire meglio il disco del quale sto per parlarvi. Questo lavoro si chiama Among the Amorphous ed è il secondo full-lenght dei danesi The Interbeing. Sono passati ben sei anni tra il loro primo disco e questa novità discografica, sei anni nei quali la band ha avuto modo di suonare in parecchi posti affiancando una serie di band famose, sei anni nei quali hanno avuto modo di comporre un bel po' di materiale, da un'accurata scelta viene fuori la tracklist che compone questo nuovo lavoro. 
Vi parlavo di Lynch e la sua presenza in questo disco viene data dalla sua capacità di indirizzare l'immaginario musicale e soprattutto testuale di questo lavoro. Ma come sempre ci potrebbe essere un ampio spazio a delle interpretazioni molto diverse di quello che significa mettere in carattere musicale un'immaginario come quello. Si può dire che, per quanto riguarda la band danese, c'è un mix di futurismo e di parallelismi, come se la musica dovesse raccontare di tanti modi che viaggiano contemporaneamente su binari paralleli. 

Among the Amorphous

Come mondo musicale The Interbeing ha le sue radici dentro a quello che è l'aspetto del metal più moderno, vale a dire il tech metal, genere che non soltanto denota una grande maestria strumentale ma apre spazio ad una lettura nuova di quest'universo musicale, dove la varietà è essenziale. Per quello in tutto questo lavoro la presenza di una parte elettronica è fondamentale, per quello la voce è camaleontica dimenandosi in una serie di registri variopinti che approfondiscono quest'idea di mondi che viaggiano in parallelo, e dei quali saltiamo di uno all'altro. La base ritmica è molto tecnica e s'ispira al lavoro dei grandi Meshuggah, vale a dire che siamo di fronte a divertenti rompicapo ritmici molto difficili da riprodurre. In altre parole, abbiamo di fronte una base molto concreta e compatta che viene colorata ed espansa grazie al lavoro vocale e a quello elettronico. Una lettura molto moderna.

Among the Amorphous

Among the Amorphous è un lavoro diventa un riflesso di quello che è il nostro tempo. Ormai quello che consideravamo alternativo è la normalità e sembra che viviamo in una permanente gara ad essere quando più eccentrico diverso, diventando così delle creature che hanno perso tutta la loro bellezza originale. Non so fino a che punto questa lettura sia presente in questo nuovo lavoro dei The Interbeing ma è quello che mi suggerisce il loro mondo musicale, il loro insieme di elementi, impensabili fino a qualche anno fa. Per quello questo disco potrebbe tranquillamente essere una fedele colonna sonora del nostro mondo oggi.

The Interbeing

Scelgo due brani che sono molto in linea con quello che ho cercato di raccontarvi.
Il primo è Borderline Human e dal suo titolo si capisce già che stiamo parlando di un mondo dove è difficile non smarrire la bussola, dove quello che viviamo sembra giustificare qualsiasi genere di pazzia.
Il secondo da me scelto è Spiral into Existence. Credo che in questo brano è possibile sentire con chiarezza l'insieme di elementi messi in gioco dalla band, quella concretezza d'insieme, pesante ed infrangibile sulla quale aspetta alla voce e alle incursioni elettroniche ampliare il campo sonoro.



Among the Amorphous ci regala un nuovo esempio di come la musica si evolve, contaminandosi e riempiendosi di nuove sfumature. La musica è anche riflesso del mondo e porta a farci domande su quello che viviamo e vediamo. Per quello è molto utile ascoltare con calma il messaggio lanciato dai The Interbeing per vedere che il nostro mondo sta accettando l'aberrazione come se fosse normale. Il mondo di Lynch è bello solo dentro ai lavori di Lynch.

Voto 8/10
The Interbeing - Among the Amorphous
Long Branch Records
Uscita 21.06.2017

martedì 20 giugno 2017

American - Violate and Control: il mostro siamo noi

(Recensione di Violate and Control degli American)


Sono sempre stato molto sorpreso della quantità di violenza che viene tollerata socialmente. Avere un'arma da fuoco con la quale difendersi sembra essere un diritto irrinunciabile per tante persone. Senza mai pensare che qualcosa del genere comporta tante altre cose, come la possibilità di mettere delle armi in mano di ragazzi che non si rendono conto del peso che hanno. Occhio, il mio discorso non è pacifista ma tende a mettere l'accento su quello che non va nel nostro mondo, su questa benevolenza di fronte a certe attitudini, considerate, ormai, normali.

Ho parlato della violenza perché credo che sia un elemento innegabile, che esiste nell'uomo sin dall'inizio della sua esistenza. E in questo senso mi sembra che la chiave sia quella di riuscir a canalizzare correttamente una pulsione così importante. Dal mio punto di vista la musica è chiave in quella linea. Grazie a lei riusciamo ad avere il controllo, a buttare giù tutta quella energia sia suonandola che ascoltandola.
Non so fino a che punto questi elementi siano presenti nella musica degli American, almeno in modo consapevole, ma il disco del quale mi occupo quest'oggi, intitolato Violate and Control, è un disco che mi suggerisce apertamente questa dimensione. Questo grazie all'aria rarefatta che viene fuori dall'insieme di black metal e noise. Infatti questo è un disco che, volutamente, cerca di essere sgradevole, che non ha alcuna intenzione di lasciare degli spiragli di bellezza. Il risultato è intenso, è un disco granitico che t'investe senza chiedere il minimo permesso. Perché alla fine le cose "naturali" sono proprio così, esistono e basta.

Violate and Control

In questo Violate and Control c'è una voluta ricerca di un sound tosto, sporco, low-fi. Per quello il black metal proposto dagli American è un black metal di scuola americana. Distinzione che non è minore e sulla quale si potrebbero, se non è stato già fatto, scrivere tanti libri. Dalla mia ottica personale la differenza principale la denoto dell'utilizzo diversificato delle fonte d'ispirazione. C'è qualcosa di molto più urbano ed industriale in questo lavoro. E' un disco frutto della parte grigia della modernità, di tutto quello che significa progredire ma che non si dice, di quello che si nasconde sotto un metaforico tappeto con la speranza che nessuno verrà mai a sollevarlo. Per quello i due mondi musicali che confinano col genere principale portato dalla band sono quelli del noise e dell'industrial metal. C'è bisogno di rumore in questo lavoro, perché è il rumore quello che s'incolla a tutto il resto ed insieme creano questa figura orrenda che assomiglia ad un neonato gigante e deforme che si nutre di tutto quello che trova a portata di mano.

Ancora una volta ho a che fare con un disco che in realtà prende una sostanza materiale. Violate and Control è talmente omogeneo da sembrare un elemento della tavola periodica. Questa è la magia della musica, la sua capacità di andare oltre al semplice arte, se mai l'arte può essere chiamato semplice, per diventare qualcosa di concreto. Può piacere o meno ma questo lavoro degli American è ossessivo, presente ed inesauribile.

American

Come detto prima siamo di fronte ad un monolite tostissimo e, di conseguenza, è difficile scegliere un brano piuttosto di un altro ma mi avventuro a sceglierne due.
Il primo è Amorous and Subdued, brano che da un'idea di quello che è la band. Una drum machine ossessiva sulla quale riff oscuri di chitarra costruiscono la base perfetta per lasciare spazio ad una voce indistinta, volutamente coperta dalla parte strumentale, perché dev'essere una sfida ascoltare questi brani, una sfida di comprensione e di empatia verso l'antipatia. Non è un brano scioccante come tanti brani di black metal ma ha quell'acidità tipica della noise.
La seconda è Defecting Ways. Forse questo brano è abbastanza illuminante per quanto riguarda la parte industrial che sento così dentro a questo lavoro. Infatti gran parte della base iniziale viaggia sotto alla programmazione elettronica. Per quello trovo che questo lavoro sia un riflesso molto fedele di quello che io intendo come versante americana del metal.

Nella vita abbiamo un ventaglio di emozioni. Abbiamo aspetti positivi ed altri negativi. Forse la chiave del successo non sta tanto nel riuscir a vivere con quelli positivi ma imparare a aver a che fare con quelli negativi, a dominarli. Per questo Violate and Control mi sembra un ottimo esempio di come riversare la violenza e l'aberrazione in tre quarti d'ora. American è una faccia della medaglia che, anche se si vede molto di meno, esiste e non si deve dimenticare mai.

Voto 8/10
American - Violate and Control
Sentient Ruin Laboratories
Uscita 23.06.2017



venerdì 16 giugno 2017

Pixie Ninja - Ultrasound: i racconti pazzeschi della musica

(Recensione di Ultrasound dei Pixie Ninja)


Non so se vi è mai capitato di vedere l'incontro di due mari diversi. Per chi non l'ha mai visto, lo spettacolo che ci si ritrova di fronte è quello di una linea che oscilla dando la sensazione di due mani che s'intrecciano. Il colore di ciascun mare è diverso dall'altro, uno più intenso, ed è incredibile vedere come non c'è una specie di compromesso, come se entrambi questi giganti d'acqua volessero imporsi sull'altro. E' una danza infinita dove nessuno vincerà mai.

Perché introdurre la mia nuova recensione con qualcosa che non parla di musica? Perché la musica stessa e l'incontro di mari, di oceani che si scontrano, s'incontrano, si amano e si odiano. In questo insieme di reazioni io mi ritrovo affascinato. Quando mi ritrovo di fronte dei mondi che sembrano non avere nulla a che fare tra di loro ma vengono poi messi in armonia in modo pazzesco. Mi piace l'utilizzo del passato con lo sguardo rivolto al futuro, mi piace l'inventiva senza limiti. 
Non tutto questo l'ho ritrovato su Ultrasound, disco di debutto dei norvegesi Pixie Ninja, ma una grande dose di novità, di aria fresca, di pezzi che sorprendono per le vie che prendono. I due grandi mari che s'incontrano in questo lavoro sono il rock progressivo e l'elettronica, qualcosa che magari non è proprio una cosa nuova, ma è il come ad essere bello e fantastico. Infatti si percepisce chiaramente che siamo di fronte a dei musicisti molto capaci. Musicisti che hanno la voglia e la volontà di mettere su queste canzoni la loro infinita capacità di sorprendere. Per quello questo è un disco senza tempo, tanto futurista quanto passato. Per quello questo è un disco che sembra buttarci dentro ad una spirale caleidoscopica per poi riportarci in terra. Infatti l'utilizzo dell'elettronica in questo disco è un utilizzo quasi cinematografico, costruendo una serie di scenari favolosi.

Pixie Ninja

Ma come far dialogare al meglio l'elettronica ed il rock progressivo? Anzi tutto lasciando a ciascuno di questi mondi il proprio spazio. Non forzando mai un incontro che altrimenti diventerebbe uno scontro. Dopo di che diventa essenziale che ci sia una giusta filosofia dietro, filosofia nella quale la parte progressiva diventa la base sulla quale si adagia la parte elettronica. Infatti se dobbiamo evidenziare uno strumento solista questo strumento sarebbe i synth e le tastiere oltre a tutta la parte programmata. Questa costruzione non preclude la presenza di altri strumenti "convenzionali", anzi, in questo lavoro c'è spazio per batteria, basso, chitarra, oltre a strumenti del passato come glockenspiel, mellotron o flauto traverso. Ma il fatto che l'elettronica abbia il protagonismo è in realtà una piccola trappola. L'illusione è quella ma quello che c'è oltre è molto più interessante. Non è l'elettronica ad essere il padrone ma è la parte progressiva che esige e riserva quel ruolo. Perché? Perché per raccontare con musica quello che i Pixie Ninja vogliono raccontare è necessario far ricorso a questi suoni. Altrimenti il quadro che verrebbe fuori sarebbe molto diverso. Ecco perché non siamo in un banale livello sonoro ma bensì nell'Ultrasound.

Quanto mi piacciono le trame che si crea con la musica. Quanto mi piace l'evoluzione che può intraprendere un brano per portarti dove non osi immaginare. Perché alla fine la musica è quello, è la lettura di un racconto e si sa, gli scrittori bravi sono quelli che riescono a sorprenderti pagina dopo pagina con il loro stile personale. Ecco, i racconti che Ultrasound mi ha lasciato sono splendidi, sorprendenti e variegati. Sono futuristici, sono intimi, sono acidi, sono luminosi. La penna dei Pixie Ninja riempe i fogli con parole che s'incatenano magistralmente lasciandoci voglia di altro.



La libertà di questo disco è curiosa. Da una parte sembra lasciare carta bianca a tutto quello che viene suonato in questo disco, dall'altra è circoscritta alle intenzioni della band. Io prendo due esempi molto diversi per farvi capire qual è il mondo che ci ritroviamo di fronte.
Il primo è il brano Elusive the Wind Vane. Qua abbiamo l'impressione di aver a che fare con un brano molto più vicino al mondo progressivo. Ma è solo un'illusione, perché dopo qualche minuti l'elettronica si apre strada giostrando con gli altri strumenti. Viene fuori un brano acido, attratti quasi metal, un brano che viaggia su costanti cambi come se la trama del racconto prendesse vie impensabili.
Il secondo è Polysomnographic. E' un brano emozionante che ci porta indietro nel tempo grazie alle sue sonorità krautrock. E' spaziale ma ecco ancora una volta che ritorna un concetto che mi sta molto a cuore: più si diventa cosmico più si è introspettivo.

Ultrasound è un disco geniale. E' figlio di una grande originalità e voglia di scrivere musica con una personalità forte ed unica. Dietro ai Pixie Ninja ci sono dei musicisti navigati e l'impressione che viene fuori è che hanno cercato di far incontrare questi mari così diversi riuscendo a creare una linea con delle oscillazioni perfette. Un disco bellissimo, veramente.

Voto 9/10
Pixie Ninja - Ultrasound
Apollon Records
Uscita 23.06.2017

mercoledì 14 giugno 2017

Anathema - The Optimist: una giornata perfetta per evadere dal giudizio

(Recensione di The Optimist degli Anathema)


C'è qualcosa di magico che si crea tra gli artisti e gli ascoltatori. E' un vincolo unico dove la band che ascolti instancabilmente diventa parte integrante della tua cerchia. E' come se quella band fosse fondamentale nella tua vita e tu non veda l'ora di sapere qualcosa di nuovo su di essa. Per quello si aspetta con ansia un nuovo lavoro e quando questo esce lo si studia al millimetro, come le mamme scrutano in profondità il figlio che torna a casa dopo un po', capendo già dallo sguardo se stanno bene o meno. Ecco, certi gruppi entrano a fare parte della famiglia, e parlare apertamente dei parenti è sempre difficile.

Se non altro l'ultimo disco degli Anathema si guadagna a pieno merito il titolo di disco più controverso della loro carriera. Questo lavoro si chiama The Optimist e già con le prime recensioni che anticipavano la sua uscita spaccavano le opinioni di critici e fans. Personalmente devo dire che anch'io mi sento immerso in un grande conflitto e che a primo impatto sono rimasto molto deluso di questo lavoro. Ma la superficialità è un errore comune, soprattutto se si parla di arte, e perciò ho deciso di prendermi del tempo e di riprodurre una volta dopo l'altra questo disco, prima di esprimere la mia opinione.
Prima cosa da dire: gli Anathema ci hanno preso in giro. The Optimist, in contrasto col suo titolo, è stato presentato dalla band come il loro materiale più oscuro fino ad oggi. Per chi avrà ascoltato questo disco, anche una sola volta, la verità è evidente, questo è il disco più luminoso della band inglese fino ad adesso.
Seconda cosa: questo disco è stato concepito come una continuazione di A Fine Day to Exit, album dove, dal mio punto di vista, per la prima volta l'ago della bilancia tendeva più verso il rock che verso il metal. The Optimist sembra, effettivamente, una continuazione narrativa di quel lavoro, ma è una delle tante possibile vie con le quali era possibile sviluppare quel disco. The Optimist è la rinascita dopo l'evasione, è una nuova vita da vivere con nuova forza. E' senz'altro una lettura molto interessante ad affascinante, non priva di una componente nostalgica che ha a che fare col motivo dell'evasione, perno centrale di A Fine Day to Exit, ma che abbraccia una serie di elementi che non sono quelli che hanno reso celebri gli Anathema. E penso che nasce qua il grande conflitto con questo disco, perché più che mai gli Anathema hanno smesso di essere gli Anathema. Ed è qua che nasce la domanda essenziale: anche se è così questo è un lavoro valido, e sì quanto lo è? Cadiamo nel campo della soggettività assoluta ma basta un veloce giro in gruppi di discussione su questo lavoro o la lettura di altre recensioni per rendersene conto che per una grande maggioranza di pubblico questo è il peggiore disco degli Anathema fino ad oggi. Invece per me, e lo sto capendo soltanto adesso, non lo è. Questo è un disco diverso, con elementi nuovi, mai sperimentati fino ad adesso nella musica della band, con elementi sviluppati già nei loro ultimi lavori che adesso prendono una forza maggiore, per esempio tutta la parte di programmazione elettronica, ma è un disco pazzesco (tranne per qualche lacuna che illustrerò più avanti). Se questo disco fosse stato firmato da una band al debutto staremo urlando al capolavoro. Anzi, in un certo modo mi sento di dire che questo è il disco più ambizioso degli Anathema. Mai come prima la loro capacità di musicisti era stata utilizzata in modo architettonico, costruendo ogni brano con le risorse più variegate, dimostrando che l'esperienza arricchisce la saggezza. 

The Optimist

Ma qual è il punto che crea ribrezzo al primo ascolto e che sciocca cosa significativamente i vecchi fans della band? E' la nuova linea musicale. Non più mossa da quella dissacrante tristezza che gli Anathema sono sempre riusciti a manipolare. Prima col loro dissacrante doom, tra i più belli ed intensi mai sentiti, poi con quel metal di così difficile definizione che qualcuno ha definito come alternative metal o come gothic metal, genere che personalmente penso che abbia toccato l'apice con quel capolavoro chiamato Alternative 4 (che vi ho recensito qui). La tristezza era ancora presente in quella serie di album che si sono allontanati irrimediabilmente dal metal avendo una sonorità che si avvicinava molto di più ad un rock marcatamente britannico. E poi? Poi ci fu una lunghissima pausa che ci regalò dei nuovi Anathema. Ricordo che la prima recensione che ho mai scritto, parecchi anni or sono, è stata quella di We're Here Because We're Here, e la mia conclusione era che gli Anathema finalmente erano diventati felici. Per quello tutto diventò pomposo, abbracciando un rock progressivo di grande carica emotiva, come va di moda in questo decennio, catapultando la band ad una visibilità inedita. Molti rinnegarono questa nuova direzione dove la tristezza era diversa, non completamente sparita ma non più protagonista. I nuovi brani erano troppo belli, molto più ragionati e meno sentiti. Ma potevano rimanere fermi gli Anathema? Assolutamente no, e Distant Satellites ne è una dimostrazione. Una porta aperta ad un'elettronica dosata in tale modo di non diventare rivoluzionaria ma neanche inesistente. Ed eccoci finalmente a The Optimist. La vera differenza di questo disco con rispetto agli altri è che dietro a questi brani c'è una concezione nuova, molto più vicina a quello che può essere il mondo del post rock. Questa concezione si muove molto di più verso all'atmosfera che un brano riesce a ricreare piuttosto della storia che sta raccontando. E questa è la piccola grande rivoluzione di questo disco. Per quello non ritrovare quel profilo più di "canzone" disorienta tanto. Anche se non è completamente sparito. Infatti questo è il disco inedito più ambientale della band, ricco d'interventi sonori come registrazioni e programmazione elettronica. 

Penso ad illustre band che hanno intrapreso delle direzioni assolutamente diverse da quelle originali. Penso a certi gruppi che sono riusciti a fare delle cose così valide da giustificare qualsiasi cambiamento. Ma penso anche a quelle che cambiando hanno perso quella genialità che le ha contraddistinte. E' molto difficile decretare a quale categoria appartiene gli Anathema, soprattutto perché conoscendo il loro percorso è indubbio che ancora non abbiamo assistito a tutte le loro possibili vite. C'è però da dire che ovunque hanno deciso di andare sono sempre riusciti a dare il meglio. Per quello nessuno deve azzardarsi a pensare che The Optimist sia un disco brutto, facile, mediocre. No, è un disco pazzesco. Ma è un disco che deve fare un confronto con la storia della band. Storia che ha regalato, a quelli della mia generazione, dei dischi così struggenti da essere delle vere e proprie lezioni di vita. Per quello se io dovessi fare una scelta mi terrei molto più stretto il passato musicale della band piuttosto dei questo disco, ma questo non vuole assolutamente dire che questo lavoro non sia valido.

Anathema

Prima vi ho parlato di elementi nuovi, mai messi in gioco fino ad oggi nella musica della band. Questi elementi hanno a che fare con una serie di arrangiamenti che prevedono l'utilizzo di strumenti a fiato oltre ad una serie di orchestrazioni, prendendo quasi una piega jazz. La domanda che rimane appesa è se siamo di fronte ad una nuova evoluzione che si approfondirà nei prossimi lavori o se si tratta soltanto di qualcosa di passeggero. Dal mio punto di vista è questa la pecca di questo lavoro. E' quello il punto dove sembra d'aver perso gli Anathema, che non solo hanno cambiato pelle ma che sono pure pronti a sembrare un altro gruppo. E questo cambio dal mio punto di visto non giova alla band. 
Credo che per capirlo più profondamente basta ascoltare il brano di chiusura di questo disco, Back to the Start. E' un brano che inizia con la solita impronta della band. Melodia nostalgiche molto ricercate su una atmosfera molto ben riuscita. Sembra bellissima, ma improvvisamente cambia, entra in gioco l'orchestra e quell'ambiente vellutato di nostalgia viene inondato da un'eccessiva luminosità. Non ci siamo, questo non è quello che ha reso celebre la band.
Invece se prendiamo un brano come Leaving it Behind abbiamo una mostra di quello che possiamo definire come gli Anathema odierni. Una costruzione perfetta di un brano ricco di originalità che non si discosta mai delle caratteristiche che hanno reso celebre la band. L'elettronica e la parte "suonata" vanno perfettamente della mano tirando fuori una canzone massiccia degna del grande repertorio da ascoltare e riascoltare. 


Tirando le somme è molto difficile essere esaustivo in un eventuale giudizio ma ripeto che preso singolarmente The Optimist è un disco di una bellezza unica, di ricercati arrangiamenti che sono frutto di un'esperienza musicale non indifferente. E' un disco che sintetizza molto bene quello che sono gli Anathema degli anni 2000, architetti di ambienti sonori ed emotivi. Preso nel contesto della discografia della band sembra quasi impensabile che questo lavoro sia nato dalle stesse menti che hanno iniziato scavando il doom con una sensibilità mai sentita prima e che, sembra, non tornerà mai più. Invecchiando si cambia, e quest'ottimismo purtroppo sembra rendere tristi tante persone ma regala un disco che sarà divorato da chi ama la musica in una scala più universale. Per quanto mi riguarda ogni tanto l'ascolterò, ma molto meno spesso di altri lavori della band.

Voto 8/10
Anathema - The Optimist
Kscope
Uscita 09.06.2017

Sito Ufficiale Anathema
Pagina Facebook Anathema

martedì 13 giugno 2017

Wovoka/LLNN - Traces/Marks: completarsi per arrivare alla meta

(Recensione di Traces/Marks di Wovoka/LLNN)


Avvolte l'importante non è come si arriva ma dove si arriva. La meta è qualcosa che deve sempre essere presente. Dev'essere un pensiero ossessivo ma positivo. Dev'essere la direzione che indica la nostra bussola personale e non dobbiamo mai distoglierci da quella indicazione. Nella musica ci sono tanti esempi di gruppi o artisti che hanno intrapreso delle strade molto diverse ma che sono arrivati alla stessa meta. Sicuramente, se siete assidui lettori di questo blog, o anche occasionali, avrete capito che per me la musica è una filosofia di vita, un riflesso di quel che ero, quel che sono e quel che voglio essere.

Quest'oggi è un nuovo split album a tenermi impegnato, ma si tratta di uno split molto particolare perché divide in modo molto personale lo spazio dedicato alle due band impegnate. Queste band sono i danesi LLNN e gli statunitensi Wodoka e la divisione di questo Traces/Marks dimostra sicuramente quello che ciascuna band sa fare meglio. Per quello ai danesi vengono "riservati" ben sei tracce e agli statunitensi "solo" una. L'utilizzo delle virgolette è d'obbligo ed esige un approfondimento. Questa disparità divisoria delle tracce corrisponde alla natura delle stesse tracce. Nel caso dei LLNN abbiamo una serie di brani sanguini che mettono in chiaro il messaggio ricercato dalla band senza troppi giri. Per quello sono delle canzoni dirette, che non vogliono assolutamente perdersi in sviluppi che potrebbero sembrare sterili e controproducenti. Questo vale per tutti i brani tranne uno, l'ultimo della loro parte di split. Il brano in questione, intitolato Gravitated, è il ponte perfetto all'entrata in scena dei Wodoka che con la loro unica canzone ci regalano un momento epico lungo ben 17 minuti. Qualcuno potrebbe dire che non è corretto che succeda qualcosa del genere, che artisticamente è un problema, che non c'è coerenza. Ed invece questo disco non è soltanto pieno di coerenza ma è anche pensato e studiato alla perfezione, regalando un relato sonoro meraviglioso, un'opera coesa sorprendente.

Wovoka/LLNN

Quello che unifica questo Traces/Marks è la visione generale che c'è dietro a questo disco. Quello che viene dipinto in questo lavoro è un mondo apocalittico dove la bellezza è stata completamente spezzata via. La cosa interessante è che entrambe le band hanno scelto modi diversi di raccontare questo mondo. Da parte degli LLNN abbiamo un'interpretazione post apocalyptic hardcore. Invece i Wodoka ci regalano un lavoro sludge/post metal. Torniamo dunque alla coerenza di questo split e a come due gruppi che appartengono a due mondi musicali diversi riescono a costruire un lavoro ottimo. Bisogna tornare all'introduzione fatta in questo post e a capire come, percorrendo delle strade diverse, si arriva alla stessa meta. E' quello che accade in questo split. Ogni band regala la sua interpretazione di un punto d'arrivo identico. E sono le differenze nell'interpretazione quelle che fanno diventare ancora più grande questo lavoro, perché dall'energica voglia di buttarci dentro a questo mondo post apocalittico andiamo a qualcosa di più trascendentale, a quella riflessione che fa capire perché siamo dove siamo. 

Traces/Marks

Traces/Marks riflette già nel proprio titolo la differenza essenziale regalata dalle due band, LLNN e Wodoka, andiamo dalle tracce, da quello che ci fa intuire a le marche, quasi macchie e cicatrici, che bruciano come ferite aperte. Perché un conto e vedere quello che è successo ad altri, ed un altro conto e viverlo sulla stessa pelle. Ecco, questo split ce lo fa vivere addosso, ci fa sentire che il caos apocalittico è dentro ad ognuno di noi, e che se siamo arrivati a quel punto è perché l'abbiamo acconsentito. Questo è un disco che ci fa sentire e vivere questo mondo per poi farci riflettere sullo stesso. E' uno split perfetto, dove quello che manca a una delle band viene dato dall'altra.

Traces/Marks

Ripeto che è essenziale e necessario ascoltare questo disco intero. Non farlo sarebbe, purtroppo, tremendamente riduttivo perché non si capirebbero i collegamenti magistrali fatti dalle due band. Infatti l'entrata in gioco della seconda sembra completamente naturale e necessaria. Ma visto che normalmente tendo ad illustrarvi nello specifico qualche brano in particolare pesco due canzoni.
Per i LLNN la traccia che scelgo è The Guardian, brano che apre questo lavoro. Intenso, oscuro, complesso e, nello stesso tempo, diretto. Chitarre acidissime che dialogano con tastiere apocalittiche mentre una voce urla le proprie sensazioni. C'è un bellissimo modo di raccontare, un modo che è diretto come un pugno alla pancia ma che porta molto di più e molto altro. Bellissimo dentro alla sua caotica dimensione.
Per i Wovoka non c'è molta scelta ma in realtà non serve averla. Il loro brano è una canzone mastodontica e preziosa. S'intitola Traces e ricorda molto il lavoro di band come i Cult of Luna. Con quell'epicità oscura è capace di parlarci da dentro. Non stanca mai e si muove dentro a delle acque turbolenti dove le turbolenze vengono provocate da noi stessi. Veramente meravigliosa.


Magari ci fossero più split come questo Traces/Marks perché la dimensione finale di quello che c'è dentro a questo lavoro è un lavoro di potenziamento di quello che fa ogni gruppo. Quello che uno non ha viene completato dall'altro. Mettere insieme due band che potrebbero sembrare molto diverse, come LLNN e Wovoka è stato un azzardo geniale.

Voto 8,5/10
Wovoka/LLNN - Traces/Marks
Pelagic Records
Uscita 16.06.2017