lunedì 27 febbraio 2017

Within the Ruins - Halfway Human: ah però!

(Recensione di Halfway Human dei Within the Ruins)


L'altro giorno riflettevo su un fatto che potrebbe sembrare banale. Pensavo a quanto normale sia vedere un bacio omosessuale in un telefilm o in un film. Questa è la nostra normalità e non ci scandalizza più, ma anni fa qualcosa del genere era assolutamente impensabile e se fosse mai successo sarebbe diventato uno scandalo.
Questo è un paragone di quello che è il progresso, di come cambia il tempo e noi siamo a cambiare, altrimenti diventiamo antiquati e superati. Anche la musica è così. Se non si vuole diventare un nostalgico bisogna abbracciare tutti gli elementi nuovi. E farlo fa bene perché ci porta a scoprire nuovi confini.

Un aspetto che è sempre presente nella musica dei Within the Ruins è l'assenza di limiti. Nati come una band deathcore ormai ristringerli a quella definizione musicale è un errore. A dare l'ennesima dimostrazione di ciò è il loro nuovo album: Halfway Human. La prima cosa che viene da dire ascoltando questo loro quinto LP è: ma come diamine fanno a suonare così. E sì, perché questo lavoro è un fiume in piena trascinante che non da tregua qualcuna. Pieno di idee originali e pazze arriva come un treno fuori controllo. E' questa unione di elementi quella che fa capire che il terreno fertile sul quale la band statunitense ha deciso di far crescere il proprio discorso musicale è vastissimo e moderno.

Halfway Human


Musicalmente, dunque, siamo di fronte al chiaro esempio di un gruppo che mette insieme così tanti elementi da finire per erigere la sua propria personalità musicale. Una personalità fatta di energia, di progressismo, di giochi ludici, di contraddizioni e di consistenza. Per quello nel definire la musica della band potremmo parlare di tutti i generi che si sentono in questo Halfway Human, c'è sicuramente del deathcore ma anche tanto metal progressivo contemporaneo, c'è dello djent, ma ci sono tanti elementi che fanno pensare al modern metal, per quello l'incastro tra le voci, quella growl e quella pulita, lascia spazio a tante nuove letture. Ci sono parti molto contundenti ed altre di forte potere melodico. Ci sono parti incazzate ed altre che ricreano dei suoni che sembrano tirati fuori da qualche videogioco vecchio una ventina d'anni. E' in questo calderone che i Within the Ruins si districano senza difficoltà alcuna, a testa alta, sempre pronti a sorprendere.

Within the Ruins


Halfway Human può assomigliare ad altri dischi, il sound può avvicinare i Within the Ruins ad altri gruppi ma c'è qualcosa di magico che accade quando si ascolta questo lavoro, ed è che si viene continuamente sorpreso. Quando si pensa di aver "capito" la direzione del gruppo succede qualcosa che mette in discussione tutto quanto. Sono 51 minuti di dire: ah però! 51 minuti di elementi che vengono mescolati capricciosamente per divertimento. 

Within the Ruins


Ho tre brani che mi hanno lasciato qualcosa di più degli altri.
Il primo è Objective Reality, dove il lavoro vocale è forte e chiaro. La voce pulita costruisce delle melodie perfette, la voce growl guida l'onda d'urto costruita dalla band.
Il secondo è Absolution. Grazie a questa canzone e alla prossima che vi segnalerò si può sentire con chiarezza il lavoro della chitarra, di un virtuosismo perfetto, dove non ci sono cose accademiche ma soltanto la ricerca di un linguaggio musicale proprio.
Il terzo è Ivory Tower, e come detto in precedenza esalta la linea di chitarra. Chitarra che si diverte a costruire delle linee melodiche che ci riportano alla mente videogiochi come Tetris, il tutto in un contesto che da videogioco ha ben poco, per quello è magicamente pazzo.



Originalità e modernità, ecco i due punti cardini di questo Halfway Human. Originalità che s'esprime grazie agli inneschi strumentali inediti, che possono assomigliare a qualcosa di sentito ma che regaleranno sempre nuove cose. Modernità che viene data dal modo di far arrivare il messaggio dei Within the Ruins, lasciando sotterrato qualsiasi elemento che possa ricordare generi "vecchi" e regalando un'ennesima evoluzione in quel mondo che non si ferma mai, chiamato metal. 

Voto 8,5/10
Within the Ruins - Halway Human
Long Branch Records
Uscita 03.03.2017

venerdì 24 febbraio 2017

Patria - Magna Adversia: l'intensa personalità

(Recensione di Magna Adversia dei Patria)


Dal mio punto di vista un elemento fondamentale che serve nella vita è la profondità. Profondità che ci deve portare a capire tutto senza affrettare un primo giudizio vano e, spesso, sbagliato. Come capita spesso entrano in gioco dei preconcetti o dei pregiudizi che offuscano la vista. La musica ne è piena di giudizi radicali che affondano o esaltano qualche band o qualche genere. Ma se tutti imparassimo a guardare oltre sicuramente saremmo in grado di riscattare tanti elementi positivi da ogni brano fatto con il cuore e con talento.

Magna Adversia


Questa introduzione ha molto senso visto che vi parlerò di un disco che, a primo impatto, può sembrare un lavoro eccessivamente radicato nel mondo del black metal senza offrire significative novità. Questo per il tipo di struttura musicale e per le scelte strumentali. Ma Magna Adversia dei brasiliani Patria è molto di più. C'è un tocco di originalità che svia la linea del purismo ad altre latitudini dove c'è spazio per le contaminazioni sonore trasversali che ci regalano un bel lavoro. Non mi sembra un caso, dunque, se a suonare la batteria in questo disco è un certo Asgeir Mickelson, musicisti di, tra altri progetti, Ihsahn, artista che se ha dimostrato qualcosa nella sua carriera è che la ricerca di una propria strada musicale dev'essere la priorità. E' grazie a queste aperture musicali che si può parlare di un chiaro sound targato Patria, band che autoproclama la forte influenza del metal scandinavo messo insieme con degli aspetti più avanguardisti che denotano la loro provenienza territoriale. 

Magna Adversia


Con quest'ultima affermazione sono d'accordo a metà. Credo che se questo disco fosse presentato a qualche ascoltatore senza informarlo sul nome della band che c'è dietro, e se li venisse chiesto di determinare l'origine geografico di quello che ha appena ascoltato non sarebbe immediata l'associazione col gigante sudamericano. Ma questo importa ben poco, perché se la musica c'insegna qualcosa è senz'altro il suo carattere universale. Magna Adversia è proprio così, universale. E' un disco che ha le sue fondamenta nel black metal ma che s'espande senza problemi nei generi confinanti. Per quello questo disco dei Patria non è soltanto oscuro ed energico ma ha anche dei momenti epici, incrementati dal lavoro di orchestrazione di Fabiano Penna dei Rebaellium, e dei momenti ambientali dove la parte musicale prende una direzione che ricorda il dark metal o il post metal
Bisogna ringraziare queste contaminazioni perché questi aspetti a espandere la portata del gruppo, non essendo più un semplice gruppo di black metal

Magna Adversia


Chi ha una mentalità abbastanza aperta, e sa apprezzare le aperture musicali, tirerà fuori dei bei giudizi su questo lavoro. Questo perché Magna Adversia si distoglie da quella pesante intenzione di "purezza" trasformandosi in un discorso molto più ampio. Ma occhio a non illudersi, questo non è un mosaico di generi e canzoni diverse. Questa caratteristica è intrinseca in ogni nota suonata dai Patria, abilissimi dunque a trovare la loro propria dimensione musicale tradotta in una grandissima personalità.

Patria


Vi lascio due segnalazione più approfondite.
La prima va al brano di apertura del lavoro, Infidels, che ci regala una montagna russa di sfumature musicali. Per quello da un marcato black metal si passa a delle sonorità che ci riportano indietro di un paio di decadi. Tutto senza mai mollare la presa, senza mai attenuare l'energia dietro a queste note suonate con rabbia.
Se il primo brano è abbastanza riassuntivo del punto di forza del gruppo, The Oath, ci fa vedere una maggiore apertura musicale che ricorda la filosofia musicale di Ihsahn. Un brano oscuro, epico e drasticamente melodico, nel senso che le frasi musicali suonate rimangono molto impresse in testa.



Magna Adversia è un lavoro molto concreto, di ampio respiro internazionale. E' un disco che suona molto bene, che si sviluppa senza stancare mai regalando la sorpresa di cambi inaspettati. Ma ripeto un'altra volta che la forza dei Patria sta nell'essere riusciti a sintetizzare tutto quanto in un loro sound molto definito. Di conseguenza non parliamo di un disco sperimentale dove la pazzia fa da guida ma di un lavoro pieno di sicurezza. Bella prova.

Voto 8/10
Patria - Magna Adversia
Soulseller Records
Uscita 03.03.2017

mercoledì 22 febbraio 2017

Sprague Dawley - Missing Piece: la ricerca dell'anello di congiunzione

(Recensione di Missing Piece dei Sprague Dawley)


Come sarà sentirsi come un topo di laboratorio? Vivere una vita intera come cavia. Non conoscere la realtà ma vivere secondo i capricci scientifici. E' qualcosa d'impensabile per noi. Per fortuna credo che tutti i lettori di questo blog non sono "vittime" di ricerche scientifiche.

Sprague Dawley è, inizialmente, una razza di topi utilizzati per le ricerche scientifiche del campo medicinale. La cosa che sorprende è che sono stati progettati geneticamente per questo scopo. Per quello hanno questo nome proprio e vengono allevati in una azienda statunitense. E' da questa razza che questa band finlandese ha preso spunto per nominare il proprio progetto. Scelta curiosa che sicuramente ha una spiegazione esaustiva dietro. Oggi mi occupo del loro secondo disco, intitolato Missing Piece. Sia un nome che l'altro fanno pensare che sia ricorrente nella testa del gruppo quella ricerca di quell'anello di congiunzione. Per quello il loro genere è un ibrido che si muove dentro il rock degli ultimi venticinque anni. Sonorità spinte, dunque, che enfatizzano l'intenzione della band, cioè essere attuali, energici ed originali. Un risultato buono, che regala anche dei bei brani ma che è carente di quel qualcosina in più che permetterebbe effettivamente di creare quell'anello di congiunzione capace di far dare un salto di qualità e di notorietà alla band.

Missing Piece


Il sound degli Sprague Dawley è molto fedele di quello che significa quel rock di marcata linea grunge. Vale a dire grande compattezza sonora senza mai eccedere in sfumature virtuose. Bisogna pensare che dietro a questo Missing Piece si cella un trio, e dunque tutto viene ridotto alle possibilità di un sound live, asciutto e diretto. In questo senso bisogno complimentarsi con la band perché si sente una bella unione, tradotta in un insieme sonoro molto compatto. Riff di chitarra che sorreggono i brani sorretti da una solida base ritmica di basso e batteria. A questo aggiungiamo una voce piacevole, di bel timbro. Potrebbe dunque venire fuori la domanda: ma allora perché questo disco non viene lodato? La risposta sta nel fatto che, anche se ci sono diversi elementi messi insieme, quello che arriva della band è qualcosa che richiama e ricorda tanti gruppi. Insomma, manca quel pizzico di follia che donerebbe un tocco d'originalità e di personalità.

Missing Piece


Forse su questo concetto possiamo inglobare questo Missing Piece, cioè un lavoro di ricerca di una propria personalità che ha delle basi molto solide ma che è carente di qualche sfumatura in più, di quel genere di sfumature che sembrano poco importanti ma in realtà finiscono per regalare gli elementi migliori. Questa è naturalmente la mia opinione, basandomi sui miei gusti e sulla mia filosofia d'ascolto della musica. Per chi ama il rock anni 90, invece, questo lavoro dei Sprague Dawley potrebbe trasformarsi in un disco da ascoltare e riascoltare senza sosta, perché gira bene.

Sprague Dawley


Due esempi sonori che potete ascoltare per farvi un'idea sono:
My Town, canzone molto energica e trascinante. Qui si sente con chiarezza la forza della band, capace di sintetizzare e concentrare in pochi minuti le loro intenzioni. 
La seconda è Deep Inside. Più tranquilla rispetto alla prima, si nutre di belle melodie che funzionano alla perfezione. 

Questo Missing Piece è un disco contraddittorio. Prendendo singolarmente certe canzoni ci sono delle belle creazioni che rimangono in testa. Invece vedendolo come un'opera globale, in certi momenti manca un rischio maggiore, la possibilità di apprezzare qualcosa in più da quello che hanno messo sul piatto i Sprague Dawley. Quella ricerca del pezzo mancante deve continuare, perché una volta che ci sarà il risultato sarà interessante.

Voto 7/10
Sprague Dawley - Missing Piece
Secret Entertainment
Uscita 24.02.2017

Pagina Facebook Sprague Dawley


lunedì 20 febbraio 2017

Achiote - Loneliness of Ended Days: la prospettiva di un finale

(Recensione di Loneliness of Ended Days di Achiote)


La malinconia. Un motore potentissimo in ambito artistico. Se non fosse per lei parecchi capolavori non sarebbero mai esistiti e molte correnti stilistiche non sarebbero arrivate ai nostri giorni. La malinconia sembra avere un coloro molto definito, è blu.

Il titolo del disco del quale vi parlo quest'oggi mette già in evidenza la presenza della malinconia come protagonista principale di questo lavoro. L'album si chiama Loneliness of Ended Days ed è il secondo LP dei finlandesi Achiote. Come s'intuisce dal nome del disco la tematica principale che si aggira nelle tracce che cerco di raccontarvi è quella del divorzio, di una separazione, di un qualcosa che sta finendo irrimediabilmente. E' proprio quel momento, non quello di prima e neanche quello di dopo. E' quella sensazione di perdere tutto, di non vedere alcuna possibilità all'orizzonte. Ci sarebbe da tagliarsi le vene di fronte ad una concretezza tale, e molti gruppi avrebbero buttato su quell'aspetto di terrificante depressione. Invece nel caso degli Achiote il discorso prende una serie interessantissima di sfumature. Riflesso naturale della loro musica. E' per quello che questa tematica viene trattata con tristezza, con malinconia, ma anche con rabbia e con distacco. Tutta una serie di prospettive per farci capire che le cose possono essere affrontate da diversi punti di vista.

Loneliness of Ended Days


Musicalmente succede lo stesso che riguarda la parte lirica. La linea prescelta dalla band unisce una serie di elementi che ricordano grandi gruppi come i Katatonia, i Riverside o gli Anathema, strizzando addirittura l'occhio al rock progressivo scuola Opeth. Dunque la malinconia come linea guida di un metal che passeggia tra la nostalgia e quel tocco progressivo che mette insieme tutte le band appena nominate. Fondamentale in quella linea è il lavoro della tastiera, capace di creare delle linee molto melodiche e malinconiche ma anche dare un tocco anni 70 grazie ai suoni stile mellotron. E' a quest'anima che il gruppo si accolla e costruisce questo Loneliness of Ended Days. Il restante lavoro viene compiuto egregiamente dalla band che riesce a costruire delle canzoni variopinte ben suonate. L'unica pecca è il lavoro vocale, non sempre impeccabile e preciso. In questo senso bisogna segnalare che gli Achiote hanno dovuto sopperire all'impossibilità di continuare col lavoro vocale della loro bassista-cantate per via di un virus che ha compromesso la sua voce. La voce viene dunque affidata ad uno dei due chitarristi, Janne Salminiemi, proprietario di un interessante tono vocale, e che in certi momenti riesce a costruire delle belle linee, ma che in altri non è preciso al cento per cento. Un peccato perché è l'unica nota dolente di questo interessante lavoro.

Loneliness of Ended Days


E' molto interessante pensare a come si vive un processo di separazione. Lo è perché, anche se ognuno lo affronta in modo diverso, sembra sempre pesantissimo ed opprimente. Invece se l'osserviamo alla distanza ci rendiamo conto che forse non era così terribile, che c'erano altri elementi che giustificavano quello che è successo. Loneliness of Ended Days è il racconto di quelli momenti, strazianti in modo esagerato. Gli Achiote sono molto abili a basare questo lavoro su qualcosa di così particolare. 

Achiote


Come consiglio buttati un orecchio alle seguenti canzoni:
Blinding Lights. Brano che ricorda molto quello che fanno i Riverside. Un bel insieme di nostalgia e sonorità hard rock anni 70.
Desert Sun. Brano molto potente che regala delle sfumature progressive molto carine.
It's a Trap. Sicuramente la canzone più effettiva dell'intero disco. Bellissima la linea di tastiera che si unisce alle chitarre. Un brano che rimane impresso.



Loneliness of Ended Days è un disco pieno di buone idee e più di qualcuna ritrova una dimensione reale molto interessante. La formula utilizzata dagli Achiote è molto bella, perché mette insieme una serie di elementi che funzionano molto bene. L'impressione però è che manca un piccolo passo per riuscir a avere una band pronta ad assumersi un meritato protagonismo. In tutti i casi sicuramente questo salto definitivo verrà fuori, perché i presupposti sono positivi.

Voto 7,5/10
Achiote - Loneliness of Ended Days
V.R. Label Finland
Uscita 10.02.2017

Sito Ufficiale Achiote
Pagina Facebook Achiote


domenica 19 febbraio 2017

Intervista a NOÊTA: quella fragile oscurità

(Intervista a NOÊTA)


Dopo aver conosciuto la musica dei NOÊTA grazie al loro primo LP, intitolato Beyond Life and Death (potete leggere la mia recensione qui), ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con questo duetto svedese. Eccovi l'intervista.


(Lettere dall’Underground) Raccontateci perché avete deciso di formare NOÊTA. (NOÊTA) Come accade spesso, sentivamo che la nostra intenzione espressiva non esisteva nella sfera musicale. Quando le nostre strade si sono incrociate nel 2013, c’era un equilibrio tra il “bisogno” e il “volere” che giustificava l’avviare NOÊTA. Era un periodo turbolente a livello personale per uno di noi e NOÊTA ci è servito come lavoro sul campo per affrontare quella situazione, riversando tutti sul nostro EP “psychē”. E forse ci ha fatto trovare qualche significato nel atto di esprimerci per amore proprio per entrambi.

(LDU) Cosa c’è oltre la vita e la morte?
(N) È un modo di descrivere un tipo di potente curiosità delle nostre coscienze, che ci guidano nella questione del nostro significato, la nostra creazione ed il nostro contesto. Forse anche l’abilità di visualizzare un grande schema di tutte le cose. Cose che esistono oltre la nostra limitata definizione di quello che è l’inizio e la fine, che sono tangibili dentro alla nostra percezione

(LDU) È molto interessante che siete solo due persone dietro alla vostra musica. Perché avete scelto questa via? Avete mai pensato di aggiungere altri membri alla band? 
(N)Non è stato una scelta quanto una necessità. Collaborare con altra gente è sempre una cosa molto difficile. Entrambi abbiamo sentito molto presto che non volevamo altre persone che compromettessero le nostre idee. Essere in due è già abbastanza difficile. In tutti i casi un buon amico della band, Erik Gärdefors, è pronto a farci da chitarrista live in futuro, ma dobbiamo ancora concludere la tappa di preparazione. 

(LDU) Beyond Life and Death è un album capace di creare dei magnifici paesaggi, quanto è importante il fatto che viviate in Svezia e quanto presente è la natura nelle vostre canzoni? 
(N) Abbiamo vissuto simultaneamente in Svezia solo durante 5 mesi dei tre anni e mezzo da quando ci conosciamo. Dopo quei cinque mesi Êlea si trasferì prima in Vancouver e poi in Norvegia. In tutti i casi la natura è una parte importante nelle nostre vite, ed entrambi mettiamo nella nostra musica i sentimenti che ci regala la natura, è una presenza così importante nel nostro giorno a giorno che è impossibile prescinderne. 

(LDU) Fate parte della Prophecy Productions, una casa discografica pazzesca con tanti gruppi diversi. Come siete arrivati da loro e cosa pensate degli altri artisti che ne fanno parte? 
(N) Siamo inciampati su Prophecy e abbiamo letto sul loro sito come valutavano l’espressività creativa degli artisti, dopo di che abbiamo scritto ed è capitato che firmassimo con loro. Non eravamo consapevoli di Prophecy o dei loro artisti prima di ciò. Da allora ci siamo esposti molto di più. Ci sono dei buonissimi artisti di Prophecy, però nell’insieme formano un ampio rango di generi musicali, dunque parlare in generale su tutti loro è impossibile. 

(LDU) Un altro aspetto che mi è molto piaciuto in Beyond Life and Death è il fatto che la voce è sempre molto presente ma in perfetta comunione con la parte strumentale, dunque la mia domanda è: quando scrivete le vostre canzoni qual è il primo passo, scrivere le parole è trovate le linee vocali o scrive la parte strumentale? 
(N) Non abbiamo lo stesso approccio quando scriviamo canzoni. In certi casi improvvisiamo con la chitarra, il brano e le parole sono un continuo andare – e poi costruiamo, come nel caso di Dead Soil and Hades (dal nostro EP). In qualche caso, come psyche, tutti gli accordi di Ândris furono costruire sopra alle parole di Êlea. Beyond Death nacque da una melodia cantata che abbiamo trasferito ad una fisarmonica. In Drowning si originò da dei riff di chitarra. Dunque non esiste una buona risposta generale – preferiamo lasciare tutto turbolente e aperto quando scriviamo, così è interessante. Oltre a quello, entrambi abbiamo diversi modi di scrivere, dunque dipende da chi inizia la canzone. 

Beyond Life and Death


(LDU) Il Vostro sound è a metà tra l’oscurità e la bellezza, come se fosse una fiaba oscura, siete d’accordo con questa definizione? 
(N) Forse, credo che pensiamo che è più una fragile oscurità piuttosto di una fiaba oscura. Più che qualcosa instabile è qualcosa che sta per cadere. 

(LDU) Come riuscite a fare musica in un modo naturale? 
(N) Nella nostra collaborazione siamo spesso opposti, opposti in gusti, in tecniche, nella personalità. Ma passiamo molto tempo suonando insieme e dunque il processo ha adesso molte meno interruzioni. 

(LDU) Cosa c’è nel futuro di NOÊTA? 
(N) Ci auguriamo di elaborare la nostra espressività in una performance dal vivo, se possiamo trovare un settaggio adatto per farlo. Abbiamo anche iniziato a lavorare su nuovo materiale, che speriamo di unire con i suoni che abbiamo già definito col nostro EP ed il nostro album, e lavorare su quello. 

(LDU) Ultima domanda. Cosa pensate dell’Italia? Avete qualcosa di particolare da raccontare su quel paese? 
(N) L’Italia ha un’eredità culturale variopinta e ricchissima che ci auguriamo di esperimentare.

NOÊTA

(Lettere dall'Underground) Tell us why do you have decided to create NOÊTA.
(NOÊTA) Not uncommonly, we felt as if our intended expression was missing from the musical sphere. When our paths crossed in 2013, it was equal amount of pure need and will that initiated NOÊTA. It was a seemingly turbulent time personally for one of us, and NOÊTA served as the groundworks of dealing with those issues, as done on our EP “psychē”. And perhaps, finding some meaning in the act of expressing for its own sake, for us both.

(LDU) What it is Beyond Life and Death. (not talking about the album). 
(N) Well, it’s a way to describe the kind of forceful curiosity of our consciousness, that leads us to question our meaning, creation and context. Perhaps even the ability to see the grander scheme of things. Things that lies beyond our limited definition of what begin and end, that are tangible and within our perception. 

(LDU) It’s very interesting to see that you are only two persons behind your music. Why have you choose to do it like this? Have you ever think about the possibility of put other people on the band? 
(N) It was not as much a choice as it was a necessity. Collaborating with people is always a very difficult thing. We both felt early on , that we did not want someone else to compromise our ideas. Being two is difficult enough. However, a good friend of the band, Erik Gärdefors, is intended to serve as a live-guitarist in the future, but we are yet to finish that stage of preparation. 

Beyond Life and Death


(LDU) Beyond Life and Death it’s an album that it’s able to create wonderful landscapes, how important it is to you to live in Sweden and how much present is the nature on your songs? 
(N) We have only lived in Sweden simultaneously for 5 months out of the three and a half years we’ve known each other. After those five months Êlea moved to Vancouver, and then to Norway. However, nature is a big part of our personal lives, and we both bring the feelings we get from nature into our music, it is such a strong presence in our daily lives that it’s impossible not to. 

(LDU) You are part of Prophecy Productions, an amazing label with a lot of different bands. How have you get in touch with them and what do you think about the other artists of the label?
(N) We stumbled upon Prophecy and read on their website how they valued the artist's creative expression, after which we wrote them and came to sign with them. We had not been aware of Prophecy or their artists for very long before that. Since, we’ve been exposed to a lot more. There are some very good artists at Prophecy, however, together they exercise such a broad range of musical expression, that to speak generally about them all is impossible. 

(LDU) Another thing that I have love on Beyond Life and Death is the fact that the voice is always very present but in a perfectly communion with the instruments so my question is: when you write your songs what it is the first step, write the lyrics and found the melodic lines or write the music?
(N) We don't have one same approach to writing songs. In a few cases we’ve completely improvised the guitar, song and lyrics in one continous go - and then built on that afterwards, like is the case with Dead Soil and Hades (from our EP). On some, like with psychē, all of Ândris choirs were built around Êleas text. Beyond Death came from a sung melody that we transferred to an accordion. In Drowning originated from the guitar riffs.. So there is no good general answer - we prefer to keep it turbulent and open when we write, keeps it interesting. In addition, we both have different ways to write, so it depends on who initiates the song. 

(LDU) You have a sound that is in the middle between darkness and beauty, like a dark fairytale, are you agree with that definition? 
(N) Perhaps, I think we think of it more as a fragile dark rather than a dark fairytale. More like something unstable that’s about to fall. 

(LDU) How can you make music in a natural way? 
(N) In our collaboration we’re often opposites, opposites in tastes, in techniques, in personality.. But we’ve spent a lot of time playing together so that, that process is now a lot more seamless. 

(LDU) What is on the future of NOÊTA? (N) We hope to elaborate our expression to a live performance, if we can find suitable settings to do so. We’ve also started working on new material, with which we hope to unite the sounds we’ve already established on our EP and full-length, and elaborate on those. 

(LDU) And the last question. What do you think about Italy? Have you something particular to tell about that country? 
(N) Italy has an incredibly rich and varied cultural heritage, that we hope to experience. 

(LDU) Thank you so much! I hope to see you on a stage very soon!!! 
(N)Thank you!

giovedì 16 febbraio 2017

DOOL - Here Now, There Then: entrare senza chiedere permesso

(Recensione di Here Now, There Then dei DOOL)


Se non si parte dal presente è inutile pensare al futuro. Se non si costruisce da adesso non c'è buon proposito che si sorregga. Il presente è la cosa fondamentale che abbiamo, perché ogni decisione che prendiamo ci guida in una direzione determinata. Anche nella musica vale questo discorso, ma si traduce in un altro concetto, quello dell'onestà. Se non si è onesti e trasparenti lo si capisce. Se ci sono forzature, e dunque il presente di un determinato artista lo avvicina drasticamente ad un qualcosa che non ha nulla a che fare con il suo essere, non ci sarà mai trionfo. Qualsiasi vittoria sarà vuota.

Here Now, There Then

I DOOL suonano fottutamente  attuali. I DOOL sono una band che può richiudere le proprie note quello che significa vivere nel 2017. Il loro Here Now, There Then, è un lavoro così trasversale da adottare tutte le sembianze del nostro mondo. Siamo di fronte ad un mix di elementi che ci vengono buttati in faccia senza avvertimento e senza possibilità di mettersi al riparo. E' tutto nudo e noi stessi veniamo denudati di fronte a questo massiccio lavoro.
Non c'è da sorprendersi, seppur stiamo parlando di un'opera prima. Questo perché i cinque componenti di questa band non sono nuovi pivelli che si approcciano al mondo musicale da poco. Eh no, dietro al presente musicale firmato DOOL si celano dei ex-componenti di gruppi come The Devil's Blood, The Hands, Malkovich, The New Media, Bad Candy, Liar of Golgotha o Gold. In tutti i casi delle caratteristiche del genere non garantiscono sempre, e per forza, il successo di una band ma questo Here Now, There Then è un sonoro pugno sul tavolo che non potrà, e non sarà ignorato.

Here Now, There Then

La convivenza di diversi generi, che trovano una coesione unica in questo disco, è la forza della band proveniente da Rotterdam, Olanda. In Here Now, There Then si passa con frenesia dalla malinconia dipinta di gotico, all'energia del psych metal al senso di oppressione dato da un'infinità sfumatura dark. Insomma, un sinonimo di quello che è il nostro mondo, dove tutto sembra un'infinità ostentazione, ostentazione di tutto quello che abbiamo di materiale, ostentazione della nostra popolarità virtuale, ostentazione del nostro aspetto fisico. Ma quando la notte cade e rimaniamo da solo nulla ci salva da essere da soli con noi stessi. Quello sono i DOOL, quello specchio che non fa vedere il nostro riflesso esterno ma bensì quello interno, dove non c'è nulla che puoi comperare per ostentare.

Here Now, There Then

E' la crudezza d'intenzione quello che arriva subito. Here Now, There Then non si traveste di nulla, non ha dei codici nascosti da decifrare. E' un LP che impatta al primo ascolto perché entra dritto dritto in ognuno di noi senza chiedere il permesso. Accenno questo paragone, non per quanto riguarda la parte musicale ma bensì per la "prepotenza" con la quale i DOOL s'impongono. Mi ricordano tanto i A Perfect Circle perché in entrambi i casi fanno una proposta nuova piena di personalità. Qualcosa che normalmente capita dopo anni /ed anni, e dopo una serie di dischi si verifica soltanto con questo primo lavoro. Non soltanto, questo disco ha degli esempi molto concreti di brani destinati ad avere una lunghissima vita. Brani che saranno condivisi una e mille volte perché lasciano una traccia netta ed incancellabile

DOOL

Adesso vi dico quali sono i tre brani che ormai si sono annidati dentro alla mia testa.
Il primo è il brano d'apertura di questo lavoro, Vantablack. Epico, oscuro e bellissimo. Chitarre arpeggiate in tonalità minore per lasciare spazio alla voce particolarissima di Ryanne van Dorst. Dieci minuti di triste goduria.
Il secondo è The Alpha. Forse il brano che più si avvicina al mondo del metal con i suoi riff di chitarre pesanti ed una massiccia e schiacciante base ritmica. I DOOL ricordano i Tool ma quando sembrano essere troppo vicini intraprendono un'altra strada. Geniale.
Ultima proposta: The Death of Love. Struggente e bellissima. Intima quanto devono esserlo le canzoni che aprono il cuore, quello di chi le canta e quello di chi ascolta. Piena di pathos ci guida in quella montagna russa chiamata amore.



Here Now, There Then è il presente, è il lavoro di una band che avrà la capacità di accattivare i fans di svariati generi perché i DOOL sono abilissimi a cambiare pelle asseconda dell'occorrenza. Sono dark senza essere depressivi, sono rock senza mai essere glam, sono metal senza essere pesanti. Tutto cioè perché i DOOL sono i DOOL, e da quasi nessun gruppo è possibile dire qualcosa del genere al primo disco.

Voto 9/10
DOOL - Here Now, There Then
Prophecy Productions
Uscita 17.02.2017

mercoledì 15 febbraio 2017

Ghost Iris - Blind World: un mondo ceco pieno di colori

(Recensione di Blind World dei Ghost Iris)


L'evoluzione è il motore che muove il mondo. Grazie ad essa progrediamo e compiamo dei veri e propri salti da gigante. Anche la musica vive in eterna evoluzione. Di anno in anno nascono nuovi generi dalle ceneri di altri e sono un riflesso di quello che succede a scala globale, sia musicalmente che culturalmente.

Ghost Iris

Lo djent come genere musicale è uno dei sinonimi dell'evoluzione nella musica metal. E' un nuovo passo dentro i tecnicismi ossessivi che caratterizzavano certi generi. Con grande velocità una serie di gruppi si sono posizionati subito nell'avanguardia di questa, relativamente, nuova creatura. Dalla Danimarca arrivano i Ghost Iris, fedelissimi esponenti di questo genere, che con il loro secondo disco, intitolato Blind World, danno una dimostrazione di forza, di qualità, ma anche, e forse è l'aspetto fondamentale, di grande originalità. Sono gli orizzonti ampi quelli che acconsentono di avere un lavoro dove la parte tecnica non si sovrappone al resto, dove le variazione al tema che potrebbe sembrare fondamentale regalano delle canzoni fresche, piacevoli e moderne.

Ghost Iris

Dicevo che i Ghost Iris devono essere, inizialmente, accostati ad un discorso musicale tech-metal/djent. Questo perché le loro creazioni sono ricche di tecnicismi virtuosi di chitarra e il resto della band sembra sostenere quest'intenzione. Ma c'è molto altro, ed è proprio quando la band contamina quella direzione con generi che a tratti non appartengono al metal che viene fuori una serie di pregevolissimi esempi. E' lì che entra in gioco la voce, molto versatile da costruire delle linee in growl ed altre assolutamente pulite e melodiche. Sono quelle piccole strizzatine d'occhio ad un certo genere di pop che regala un contrasto molto interessante perché conficca i brani di questo Blind World nella testa dell'ascoltatore. E finisce che tutta la band prende queste nuove direzioni, a volte funkeggianti, a volte post metal, a volte pop, a volte epiche. C'è anche l'ausilio di una voce femminile, che ricorda quella di Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, che fa crescere ulteriormente lo spazio nel quale si muove la band.
Blind World


Un ventaglio di sensazioni, di colori, di sfumature, questo Blind World più che essere ceco abbonda di colori senza mai cadere nella reiterazione. I Ghost Iris ci riescono proprio lì dove tanti gruppi analoghi sbagliano. Sanno cambiare, sanno aprire gli orizzonti, sono aperti a tutto quello che può dare una nuova luce. Per quello questo disco viene divorato senza troppi problemi.
Ghost Iris

Due brani da segnalarvi su tutti.
Il primo è Pinnacle, brano che sorprende per le infinite direzioni che prende. A tratti è funk, a tratti è un fiume in piena d'energia. Prevalentemente cantato con voce pulita è molto ben riuscito. 
Time Will Tell è, invece, un lavoro che sorprende per le aperture. Inizia con un disco molto tecnico, con ritmiche ricercate e poi, verso metà brano, prende tutta un'altra piega. Diventa molto melodico, diretto, in un certo modo "facile". E' il primo brano che vede la presenza di una voce femminile. Tra l'altro si tratta della canzone più lunga di tutto questo lavoro.



Blind World è moderno. Vive dentro ad un contesto musicale impensabile fino a qualche anno fa. Questo potrebbe essere molto accomodante, molto semplice. Invece i Ghost Iris hanno la forza e l'onestà di mettere nel loro calderone tutto quello che frulla nelle loro teste. Per quello in questo lavoro si sentono sfumature del passato, con passaggi di death metal melodico, linee vocali che potrebbero tranquillamente sembrare pop, giochi strumentali "rubati" al post metal e molto altro. Ed è proprio in questa costruzione che si aprono nuovi orizzonti. Via i purismi, benvenute le contaminazioni.

Voto 8,5/10
Ghost Iris - Blind World
Long Branch Records
Uscita 17.02.2017

lunedì 13 febbraio 2017

Derby Derby - Love Dance: l'amore non è altro che un ballo eccezionale

(Recensione di Love Dance dei Derby Derby)


Scientificamente la definizione di rumore è abbastanza chiara. Il rumore è qualcosa di fastidioso. Ma artisticamente non è per forza così. La costruzione d'interi brani usando saggiamente il rumore è un talento e quello che viene fuori è qualcosa di molto originale. Il rumore può essere esterno, può essere qualcosa che viene aggiunto alla musica, ma può anche essere creato intenzionalmente con qualche strumento. Sia come sia il rumore è una risorsa. 

Oggi vi parlo dell'opera prima di un trio francese chiamato Derby Derby. Fedeli esponenti di quella musica esperimentale che la Francia continua a regalarci, si presentano con Love Dance, disco tanto interessante quanto di nicchia per una serie di elementi che vi illustrerò. Anzi tutto bisogna segnalare che questo lavoro è composta da un unica lunga traccia che si divide nelle due parti contenute nel titolo, cioè l'amore (love) e il ballo (dance).
Quando mi è arrivata l'email promozionale di questo lavoro, avendo letto il titolo ed essendomi imbattuto nella copertina rosa pesca il mio primo pensiero è stato: "ma perché hanno scritto proprio a me". Senza farmi portare da alcun pregiudizio ho avviato quest'unica traccia e la risposta mi è stata molto chiara: questo Love Dance è perfettamente in linea con i dischi più esperimentali che ho avuto il piacere di raccontarvi.

Derby Derby


Vi dicevo che i Derby Derby sono un trio. Per capire la natura di questo loro lavoro di esordio bisogna, da una parte, capire quali sono gli strumenti suonati da questi musicisti e vedere come vengono suonati. La parte ritmica è affidata al connubio basso batteria che in questo Love Dance lavorano ossessivamente in loop. Il basso è minimale, ripetitivo, monocorde. La batteria è ciclica e, in modo quasi impercettibile, aggiunge piccole variazioni che espandono e contraggono quel ciclo nel quale si sviluppa la musica della band. Per finire c'è l'aspetto più interessante, il terzo strumento è la tromba. Non qualsiasi tromba, è una tromba che non suona come una tromba. E' l'utilizzo anticonvenzionale di questo terzo elemento quello che da l'unicità a questo lavoro. Anche qua siamo di fronte a ossessivi tappetti rumorosi che armonizzano ricercatamente diverse linee dello stesso strumento, ed è su questa costruzione sonora che frasi appaiono e spariscono capricciosamente. Una scelta molto interessante perché espande gli orizzonti di quello che normalmente conosciamo come utilizzo dello strumento a fiato.

Com'è l'amore e il ballo per i Derby Derby? Sono collegati tra di loro? La risposta ha la seconda domanda è sì, e va in parte a rispondere anche la prima domanda. L'amore e il ballo in questo Love Dance sono un rito, un incantesimo che ti cattura e non ti molla. Entrambi sono un qualcosa che ti fa evadere dalla normalità, dalla routine e che ti proiettano in un'altra dimensione. Come tesi non è assolutamente sbagliato, perché le cose che ci ricordiamo per sempre sono le cose eccezionali. Forse quello è lo scopo di questo lavoro, farci vivere delle cose eccezionali.

Derby Derby


Come detto in precedenza un'unica traccia ci guida attraverso quest'intero lavoro, senza mai stacchi ma modificando, improvvisamente, l'intenzione ritmica, e di conseguenza i giochi di tromba. Questo ci fa capire che siamo di fronte ad un disco di drone e di musica esperimentale. Love è molto più ossessiva, è meno compassata, è sembra costruire un rifugio sonoro che ci corteggia per l'intera durata di questa parte. Dance invece è contorta, è tribale, sono dei corpi posseduti che danzano incoscienti del movimento che li porta d'avanti.



E' sempre giusto precisare che lavori come questo Love Dance non sono pensati per un pubblico ampio e potrebbero risultare anche fastidiosi per qualche ascoltatore. Ma per chi ama buttarsi di capofitto in una dimensione sonora unica questo disco garantisce un bellissimo trip. Fa piacere ritrovare gruppi come Derby Derby che ti fanno evadere, e vi garantisco che quando a musica finisce l'atterraggio è brutale.

Voto 8,5/10
Derby Derby - Love Dance
Ormo Records
Uscita 09.02.2017

sabato 11 febbraio 2017

Labirinto - Gehenna: energia brasiliana al post metal

(Recensione di Gehenna dei Labirinto)


Uno degli aspetti essenziali all'ora di registrare un disco è quello della ricerca sonora. Riuscire a dare la dimensione giusta a quello che si sta registrando non è assolutamente semplice ed il lavoro di un bravo fonico e/o di un bravo produttore può fare la differenza. La filosofia che c'è dietro dovrebbe essere quella d'ingrandire quanto più possibile l'intenzione sonore di una band, capendo con chiarezza che cosa si cerca di fare. La musica è piena di esempi di dischi che sono diventati maestosi grazie ad un accurato lavoro in fase di registrazione.

I brasiliani Labirinto lo sanno perfettamente. Per quello, nella loro prima tappa di registrazione del loro ultimo album, Gehenna, si sono ritrovati a registrare le tracce di chitarra sulle scale di emergenza del palazzo dello studio di registrazione. La loro ricerca aveva come finalità quella di riuscire ad avere il riverbero giusto che donasse la giusta spazialità alle chitarre. Peccato però che dopo qualche giornata di lavoro il mixer si distruggesse dovendo, così, rimandare la fine dei lavori ad un'altra sede ed in un altro momento. In tutti i casi questo incidente di percorso non ha pregiudicato la buona riuscita di questo lavoro, anche perché la band ha collaborato strettamente con Billy Anderson, famoso produttore che ha messo la sua firma su certi lavori dei Melvins, dei Neurosis, dei Fantômas, o dei Swans

Gehenna


La domanda interessante che mi viene spontanea è quella di sapere se si capisce, in qualunque modo, che questa band viene dalla gigantesca nazione sudamericana. Adesso la lascio in sospeso ma ci tornerò sopra. A questo punto è importante circoscrivere questo lavoro. Partiamo dunque inglobandolo dentro ai due generi maggiormente rappresentati in questo Gehenna. Questi sono il post metal ed il post rock. Di conseguenza quello che abbiamo di fronte è un lavoro dove i Labirinto mettono con chiarezza sul loro piatto dei pregevoli brani strumentali mossi dalla voglia di ricreare dei veri e propri paesaggi sonori pieni di epicità. Epicità che viene fuori dai titoli, e dunque dalle linee guide dei dieci brani presenti in questo dischi. Storie bibliche o mitologiche da raccontare con la musica.

Andando nel profondo bisogna chiedersi che cosa ha di più, o di meno, questo lavoro con rispetto a tanti altri esempi di dischi di post metal e post rock. Ascoltando Gehenna salta fuori con una certa facilità la risposta: la rabbia. Ma non qualsiasi rabbia, quella presente in questo disco dei Labirinto è una rabbia tramandata di generazione in generazione. E' una rabbia piena di potere, di quel potere che solo la natura o la misticità riesce a regalarti. Questo è un lavoro che non lascia spazio alla tranquillità, perché anche quando ci sono delle parti più ambientali si sente una grande tensione. E' un LP pieno di energia dalla prima fino all'ultima nota. Per quello è molto coerente con quello che la band ha cercato di comunicare. 

Labirinto


Come consiglio all'ascolto ho selezionato due brani.
Il primo si distoglie dalla linea epica storico religiosa del resto del disco. S'intitola Aung Suu e racconta musicalmente le vicende della nota attivista birmana, vincitrice del premio Nobel alla Pace. E', forse, il brano più dinamico dell'intero disco, uno dei pochi dove c'è del respiro tra le parti più grintose.
Il secondo brano che vi consiglio è Q'yth-El. Grazie a questa canzone possiamo apprezzare un altro aspetto fondamentale nella musica dei brasiliani, che deferisce da quella di altri gruppi dello stesso genere. Questo è la grande importanza data al lavoro delle tastiere, che riescono a riempire significativamente i brani, dando un'impronta che distoglie un po' quella caratteristica "post". 



Ho posto una domanda che cercherò adesso di rispondere. La domanda era se c'era qualcosa nella musica dei Labirinto che avesse un'impronta così particolare da poter dire che c'è del Brasile nelle loro creazioni. La risposta non è semplice ma è sì, in questo Gehenna c'è un tocco primitivo, istintivo e naturale che ricorda l'imponenza della natura e della storia legata a quel paese. C'è una rabbia istintiva, un'energia spontanea che hanno delle caratteristiche comuni con l'essenza del Brasile. Per quello bisogna ascoltare questo disco, perché regala piccole grandi sfumature che potevano nascere solo lì.

Voto 8,5/10
Labirinto - Gehenna
Pelagic Records
Uscita 10.02.2017